Ancora sull’annosa questione del counseling.
Tempo fa scrivevo questo articolo sulle differenze tra le varie professioni PSI: psichiatra, psicologo, psicoterapeuta.
Aveva destato un certo interesse e sollevato anche un vespaio la questione del counseling, almeno per come la presentavo. Al tempo vivevo all’estero ed ero, in una certa misura, aliena alle battaglie che si facevano in Italia sul counseling non psicologico ma avevo in mente, in verità, il modello statunitense dove il counselor è di fatto, un terapeuta certificato.
La questione aveva a che fare con il breve percorso formativo che preparava il counselor e che destava da una parte una concorrenza sleale, dall’altra pericolose derive, nel senso che si supponeva che le figure dei counselor non fossero adeguatamente preparate per affrontare e trattare il continuum che va dal disagio al benessere. Dal momento che, lo sappiamo bene noi clinici, domande anche banali, nascondono spesso disagi e psicopatologie profonde e insidiose. E siamo nel campo della capacità diagnostica.
Questo è senz’altro un punto importante. L’altro, sollevato dalla controparte, riguarda il fatto che in fin dei conti, quella degli psicologi non è altro che una lobby e una corporazione, che non vuole aprirsi alla libera concorrenza e al libero mercato con le sue infinite e prolifiche possibilità, anche danarose.
In parte anche questo è vero, a mio vedere e lo so, solleverò un vespaio tra i giovani colleghi integralisti e d’identità professionale vacillante. In parte, però. Questa della corporazione è in realtà l’altra faccia della medaglia di quello che potremmo definire la garanzia che l’ordine professionale è per l’utente.
È notizia recente quella dell’accettazione del ricorso proposto dal Consiglio Nazionale dell’Ordine: il TAR Lazio, con la sentenza 13020/2015, ha disposto la cancellazione di Assocounseling dall’elenco delle attività non regolamentate di cui alla L. 4/2013. QUI trovate la sintesi; riporto alcune frasi della sentenza che, ricordo in quanto delibera del TAR è definitiva immediatamente attiva.
“… il Nomenclatore-Tariffario degli Psicologi è stato approvato, con espresso riferimento, tra le competenze riservate alla professione dello Psicologo, a quella di “Consulenza e sostegno psicologico”, ossia di counseling.”
“Non può non convenirsi che la gradazione del disagio psichico presuppone una competenza diagnostica pacificamente non riconosciuta ai counselors e che il disagio psichico, anche fuori da contesti clinici, rientra nelle competenze della professione sanitaria dello psicologo.”
“l’attività di diagnosi del disagio psicologico rientra sempre e comunque pacificamente nelle competenze proprie dello psicologo ai sensi del citato art. 1 L. 56/1989.”
“Il disagio psichico è una condizione che attiene senz’altro alla sfera della salute ed è tale attinenza a giustificare i limiti ed i controlli che vengono garantiti anche attraverso l’attività degli ordini professionali.”
Per visionare la sentenza TAR (qui).
Quindi, che la si chiami counseling o consulenza, essa fa parte integrante della professione dello psicologo, oltre al fatto che per trattare col benessere, bisogna saper fare una diagnosi psicologica.
Inoltre, c’è anche un’altra questione molto importante, spesso poco considerata dai colleghi e cioè quella della responsabilità professionale. Lo psicologo è non solo “forzato” a muoversi dentro una legge che ne regolamente la professione, questa allo stesso tempo garantisce l’utente rispetto ad un quadro normativo chiaro e definito. E così l’intervento professionale dello psicologo da una parte garantisce l’utente e dall’altra legittima il professionista nell’assumersi fino in fondo le proprie responsabilità professionali (L. 18.02.1989, n.56: Ordinamento della professione di psicologo).
Quindi corporativismo forse, ma soprattutto garanzia e rispetto dell’utenza. Siamo in Italia e dobbiamo muoverci entro le leggi italiane e piaccia o meno, questa sentenza è definitiva e operante.
Per concludere, due parole sulla questione della sanitarizzazione della professione. I sostenitori della categoria counselor utilizzano come argomento per autolegittimarsi, il fatto che la legge dà una visione e una lettura dello psicologo solo in chiave di operatore sanitario, in sintesi una visione sanitaria della professione. Se questo è di certo vero per chi opera nel settore pubblico, direi che non è affatto vero per coloro che operano privatamente: non esiste solo lo psicologo clinico. Questo argomento non ha proprio senso nella diatriba tra psicologi e counselor. La questione è in primis culturale e spetta agli psicologi stessi dare una immagine di se stessi come operatori non solo del disagio ma anche del benessere, non solo sanitari ma anche della salute.
A tal proposito è stata molto interessante l’iniziativa dell’OPV: la settimana dell’informazione psicologica che. dal 28 novembre al 5 dicembre, ha coinvolto 200 psicologi con 50 iniziative in tutto il Veneto. Verrà replicata alla fine di novembre ogni anno.