Psicologia dell’invecchiamento

C’è una difficoltà,elderly-114328_1280 non sempre consapevole anche negli addetti ai lavori, nell’affrontare con lucidità la questione dell’ invecchiamento. Forse perché parlare di vecchi  significa proiettarci in un futuro non tanto come operatori quanto come utenti (A. Zuliani, 2002). Insomma, si tratta di qualcosa che più o meno da vicino ci riguarda e ci coinvolge tutti.

Per molto tempo il tema della vecchiaia e dell’invecchiamento è rimasto relegato ai margini della elaborazione culturale moderna, ed è incrostato da una serie di luoghi comuni: i vissuti collettivi ritraggono gli anziani in modo stereotipato: il nonno, il saggio, il vecchio asessuato. Da più parti si è rilevato come l’attenzione verso persone uscite dal ciclo reddituale, come gli anziani, è ancora insufficiente.

Tuttavia in questo contesto, proprio in virtù delle previsioni demografiche e degli emergenti problemi, la psico-gerontologia e la necessità di nuovi strumenti terapeutici per i pazienti anziani si pongono come ambiti estremamente attuali.

Aspetti fisiologici e patologici dell’invecchiamento

Se una certa visione classica, in particolare psichiatrica, del processo di invecchiamento tende a considerarlo come fenomeno di per sé patologico, caratterizzato dall’adattamento a perdite in diversi ambiti, fisici, psichici, sociali (ipotesi deficitaria); un’ottica più evolutiva guarda all’invecchiamento come un fenomeno fisiologico, per quanto critico e per quanto segnato da perdite e sofferenze di vario genere (Ambrosi; Bezoari; Pavan; 1987).
E’ indubbio che nell’età avanzata si debbano affrontare malattie croniche, spesso invalidanti, ci si debba confrontare con la diminuzione delle funzioni sensoriali, le limitazioni della mobilità. Le perdite non riguardano solo gli aspetti fisici o somatici ma si riferiscono anche a lutti importanti di congiunti, amici, spesso figli. Anche le relazioni sociali spesso sono limitate e si riduce l’aiuto o il supporto che queste possono offrire (Kruse, 1998).
Spesso, comunque, gli anziani hanno capacità adattive particolari, che derivano dalle loro esperienze di vita; essi, inoltre hanno più tempo per pensare, essendo in fase di ritiro dalle attività lavorative ed avendo ridotto le loro occupazioni quotidiane. Tutto ciò dà loro la possibilità di essere più disponibili  a rivedere i modelli di comportamento adottati nel corso della vita (Vellerini, Tironi,  De Leo, 1987).
Parlando di psicologia dell’invecchiamento, non possiamo non fare riferimento alla teoria di E. Erikson (1954), secondo cui lo sviluppo psicosociale si attua attraverso diverse fasi evolutive, ognuna impegnata in uno specifico compito evolutivo. Erikson  ha dato un ampio spazio alla fase finale, allo stadio caratterizzato dalla crisi dell’età senile: l’antitesi tra integrità e disperazione. Egli mette chiaramente in evidenza, come in questa fase l’elemento distonico, cioè quello della disperazione, sia più facilmente riconoscibile rispetto alla forza integrativa dell’elemento sintonico. L’integrità porta con sé la saggezza, che definisce come “consapevole e distaccato interesse per la vita stessa, anche se di fronte alla stessa morte”. D’altra parte c’è il disprezzo, il complemento alla saggezza, una condizione che si prova nel sentire e nel vedere gli altri da una situazione di progressivo declino, dove tutto sembra essere finito, confuso e senza speranza (Erikson E.; Erikson J.M.; Kivnick H.Q. 1986).
Ciò che colpisce particolarmente sono le riflessioni di Erikson riguardo al ruolo dell’età senile nella società attuale. Se un tempo alcuni pochi privilegiati potevano raggiungere un’età avanzata, negli ultimi anni la vecchiaia è diventato un fenomeno di massa e manca una adeguata riconsiderazione del ruolo sociale della terza età. La tendenza è quella della esclusione, del mettere fuori l’anziano, magari in strutture molto adeguate e funzionali, ma comunque lontano dalla vitalità della società. Questo accade soprattutto con i grandi vecchi, coloro che appartengono ormai al nono stadio (J. Erikson, 1997,a), che hanno superato gli ottanta e novant’anni e che hanno caratteristiche, esigenze e difficoltà  diverse rispetto agli anziani dell’ottavo stadio. In questa fase, nonostante gli sforzi, il corpo continua a perdere l’autonomia, ci sono spesso limitazioni della funzionalità sensoriale e motoria. La disperazione, che saltuariamente tormentava l’ottavo stadio, nel nono è sempre presente, perché non si possono prevedere quali emergenze e perdite della funzionalità siano imminenti.
Sembra che non si possa considerare l’anziano al fuori o al di là del tessuto sociale e culturale in cui si situa, come ha ben sottolineato anche C. Favaron (2000). E pare che gran parte della psicopatologia dell’anziano sia strettamente correlata con il rapporto che questo ha con il contesto socio-relazionale in cui vive.
Nonostante l’idea diffusa che il prevalere di problemi di salute mentale aumenti con l’età, le indagini rilevano che gli anziani sono per la maggior parte mentalmente sani. La maggior parte dei disturbi che colpiscono l’anziano non è dovuta all’invecchiamento  (A. Zuliani, ibidem) .
Secondo V.  Hercek; D. De Leo; M. Bahro (2000), oggi vi è un sostanziale consenso sul fatto che i disturbi psichici delle persone anziane non si distinguono particolarmente da quelle più giovani.
Tra i problemi psichici più diffusi, la depressione è la malattia psichica più frequente tra gli anziani. Essa é certamente correlata con le ferite narcisistiche determinate dalle numerose esperienze di lutto, cambiamenti di ruolo, esclusione ed isolamento sociale. La depressione dell’anziano nasce dalla perdita di autostima, di ruoli significativi, di altri significativi, di contatti sociali (Fasolo et al.,1999).
Altro disturbo comune è il deterioramento cognitivo, più o meno importante, che aumenta progressivamente con l’avanzare dell’età. I sintomi tipici del declino intellettuale riguardano principalmente le funzioni mnestiche e dell’orientamento, nei casi più gravi il linguaggio. Essi in genere sono provocati da demenze quali la malattia senile tipo Alzheimer, demenze vascolari o forme miste. Tuttavia spesso negli anziani problemi cognitivi possono manifestarsi anche nei disturbi depressivi (pseudodemenze), tanto che  la diagnosi differenziale tra demenza e depressione è spesso problematica (V.  Hercek; D. De Leo; M. Bahro, 2000).
Spesso comunque, vediamo realizzarsi concretamente l’errata concezione che la vecchiaia sia legata ad una malattia cerebrale organica irreversibile, mentre le concezioni più moderne enfatizzano la plasticità cerebrale anche in età avanzata (Fasolo 1999).
Articolo pubblicato originariamente sul blog Psiche&Dintorni.

Riferimenti bibliografici:

  • Bion W.R. (1972); “Apprendere dall’esperienza”; Armando, Roma.
  • Erikson E. I cicli della vita. Continuità e mutamenti. Armando Editore, Roma.
  • Erikson J.M. (1997); “Gerontotrascendenza”in Erikson E.(1954). “I cicli della vita”: Armando Editore, Roma.
  • Erikson J.M. (1997,a); “Il nono stadio” in Erikson E.(1954). “I cicli della vita”: Armando Editore, Roma.
  • Erikson E.; Erikson J.M.; Kivnick H.Q. (1986); Coinvolgimenti vitali nella terza età. Armando Editore, Roma, 1997.
  • Fasolo, F., (1991); Grottesche: immagini del comico in psichiatria, Libreria Cortina, Padova.
  • Fasolo F.; Massa E.; Mellone U.(1999); “La qualità di vita degli ospiti delle case di riposo”. In Fasolo F. E Cappelari L. (a cura di); “Psichiatria di territorio. Almanacco 1997.” La Garangola, Padova.
  • Fasolo F. (2000), “Crescere Anziani: il contributo integrativo della Gruppoanalisi.” In
  • Scocco P., De Leo D., Pavan L. (cura di); Manuale di psicoterapia dell’anziano; Bollati- Boringhieri, TO.
  • Favaron C. (2000); “Dal vecchio all’antico: riflessioni su una psicoterapia di gruppo a termine con anziani in RSA”. Tesi di Diploma COIRAG, anno 1999-2000.
  • Zuliani A. Lavorare con i vecchi: difficoltà e prospettive”, “PSYCHOMEDIA

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