Ripubblico questo post da Psiche&Dintorni, datato marzo 2014, che parla del film, premio Oscar di Paolo Sorrentino, La Grande Bellezza.
Un film bellissimo e feroce ad un tempo! Cinico come si sa e si può essere solo in Italia. Nostalgico, disilluso, decadente e trash, come solo in Italia.
L’ho trovato di un lirismo e di una poesia struggenti; di una cattiveria e di un disincanto che toglie il fiato, così come la bellezza caduta e scaduta dello sfondo, che è Roma. Ma la città eterna non è che un pretesto e un simbolo, potente. Così difficile da capire?
Un film che è piaciuto all’estero, per vari motivi, discutibili forse. Un film, evidentemente, che non parla il dialetto locale ma che sa parlare anche fuori dei limiti ristretti del campanilismo italiota. Poi, che cosa abbiano colto o capito gli stranieri, forse non importa. Ma perché gli italiani sono così dannatamente suscettibili su ciò che capisce o coglie l’Altro?
Un film che sostanzialmente non è piaciuto agli italiani. E per diverse ragioni, io credo.
Da una parte, forse, l’invidia, quella feroce e distruttiva, di chi non ha vinto l’Oscar né mai lo vincerà perché non solo non parla una lingua internazionale, o forse universale, ma si limita al dialetto e diletto locale e che non sa varcare le soglie di casa propria, della propria autocelebrazione e autocommiserazione.
Dall’altra, la fatica che fanno gli italiani, in senso generale, a leggere oltre la superficie delle cose non solo in senso artistico, evidentemente, ma anche in senso lato. Una sorta di analfabetismo di ritorno, emotivo, simbolico, affettivo e culturale, forse. Che sia un effetto collaterale del passato ventennio analfabetizzante?
Cerco di spiegarmi meglio. Non voglio parlare delle innumerevoli citazioni, non solo felliniane, che sono contenute nel film, citazioni sapienti e ironiche, lette come plagio, da menti assai semplici. Non voglio entrare in questa materia, dove non mi so muovere molto bene e che conosco solo superficialmente.
Entro invece nel merito di un altro aspetto.
Questo film parla di tutti noi: parla di come ci siamo ridotti: cinici, materialisti, senza speranze e assai brutti di dentro e di fuori!
Certo, non lo fa in modo diretto ma poetico, allegorico, a tratti surreale, onirico ed è questa la sua forza. E gli italiani non hanno saputo vedere e capire. Non hanno saputo cogliere, sentire. Non hanno saputo farsi attraversare dalla bellezza e dall’orrore del film!
Paola D’Agostino ha detto che è uno “splendido film sull’Altrove” (
leggi qua), lo dice anche il grande Servillo alla fine: sì, parla dell’altrove. Parla di noi, di tutti noi che non sappiamo più guardarci allo specchio, che non sappiamo guardarci dentro!
Ringrazio anche la mia amica e artista
Stefania Morgante, per la ricca ed articolata discussione che abbiamo avuto su questo tema e che mi ha illuminato con alcuni buoni spunti di riflessione.
Mi trovo particolarmente in sintonia con questa meravigliosa recensione di Roberto Cotroneo:
Perché la Grande Bellezza è un capolavoro. Vorrei infine consigliare la lettura di questo caustico articolo di Marco Travaglio:
Oscar: la grande vuotezza.
Pubblicato originariamente su Psiche&Dintorni, nel marzo 2014.
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